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La codipendenza da un punto di vista di un professionista(a cura della Dott.ssa Zavan)

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La codipendenza da un punto di vista di un professionista(a cura della Dott.ssa Zavan) Empty La codipendenza da un punto di vista di un professionista(a cura della Dott.ssa Zavan)

Messaggio  Admin Sab Nov 01, 2008 3:06 pm

Il testo seguente, scritto dalla Dottoressa Valeria Zavan, illustra il fenomeno della codipendenza dal punto di vista clinico.
LA CODIPENDENZA DAL PUNTO DI VISTA DEL PROFESSIONISTA

Come nasce il termine “codipendenza”
Storicamente la codipendenza ha radici risalenti alla prima metà del secolo corrente ed il termine entra nel mondo della “scienza” istituzionale americana all’inizio degli anni ’80 dal campo delle dipendenze da sostanze, in seguito alla sistematica osservazione e riconoscimento da parte dei clinici di “anomalie” comportamentali in familiari (e più generalmente in famiglie) di alcolisti.
Derivato dal concetto di co-alcolismo, coniato con riferimento ai gruppi Dodici Passi, il concetto di codipendenza ha avuto ampia fortuna e diffusione negli anni ’80 e ’90 tra gli operatori dedicati al trattamento dell’alcolismo prima e delle dipendenze in generale poi, per designare in un unico vocabolo l'insieme delle caratteristiche comuni a partner e familiari di persone dedite a comportamenti d’abuso, sia rispetto alle sostanze che alle relazioni.
Uno sviluppo parallelo, se non precedente, si è avuto in campo psico-terapeutico, soprattutto con riferimento alla teoria sistemica e con lo sviluppo delle terapie di gruppo, in particolare dei gruppi che mutuavano interamente od in parte la filosofia e gli strumenti propri dei familiari di Alcolisti Anonimi, anticipati nel campo dell’auto-aiuto dalla nascita nel ’75 degli ACoA (Adult Children of Alcoholics) e circa 10 anni dopo dei CoDA (Co-Dipendents Anonymous).
Altri apporti ed influenze sono arrivate da più recenti teorizzazioni in campo psicologico, ed infine da correnti di pensiero ascrivibili al campo sociologico, come quello femminista, orientato ad osservare e descrivere cambiamenti connessi al ruolo di genere.
Si comprende quindi come, data la disomogeneità dei contributi, vi possano essere in ambito scientifico difficoltà di interpretazione nel descrivere la codipendenza.
Così come per altri “fenomeni” risalta il contrasto tra una diffusa ed affermata "cultura popolare" della codipendenza, comprovata da spazi e sezioni dedicati all'argomento in molte librerie degli Stati Uniti (basti ricordare, uno per tutti, l’enorme successo del best-seller della Norwood “Donne che amano troppo”), il proliferare di gruppi di trattamento specifici che operano su programmi simili ai "Twelve-Step Programs", derivati da quelli dei familiari degli Alcolisti Anonimi (AlAnon) ed il relativo ritardo della comparsa della codipendenza tra gli argomenti di interesse del mondo scientifico.

Cos’è per il professionista la “codipendenza”
Purtroppo tale costrutto non ha mai trovato un consenso generale nella letteratura scientifica nemmeno nella definizione.
Le difficoltà consistono nel delineare con precisione le caratteristiche e la dignità di autonomia della codipendenza come quadro a sé stante non riconducibile a concetti già descritti, ma soprattutto nella scarsità di “prove” univoche intese come dimostrazioni condotte in studi multipli che applichino le metodologie della ricerca classica.
Come per altri fenomeni “giovani” anche per la codipendenza si può dire che tutti gli operatori “sanno cos’è” nella pratica clinica (anche quando non ne hanno mai sentito parlare), ma nessuno l’ha ancora dimostrata. Ed infatti manca a tutt’oggi una consensuale chiarezza in merito alla sua stessa definizione ed alle possibili dinamiche sottese; l’attivo dibattito avviatosi negli ultimi anni ha portato per altro alla produzione di varie teorizzazioni, nessuna delle quali è però risultata pienamente soddisfacente e condivisa.
Esse spaziano da affermazioni quasi umanistiche (Whitfield, la codipendenza come "endemia nella comune umanità") a tentativi classificativo-operativi (Cermak, la codipendenza come "disturbo di personalità con diritto di autonomia").
Molti autori si sono cimentati nel dare definizioni di codipendenza conformi alla loro provenienza formativa che potremmo per comodità raggruppare in quelle centrate sull’individuo, sulla famiglia e sulle sue dinamiche, o centrate sulla relazione.
Essi vedono via via la codipendenza come tratto o disturbo di personalità specifico, come disturbo autonomo differente da altri disturbi mentali, come addiction o compulsione, come comportamento disfunzionale, come effetto di un condizionamento ambientale, oscillando quindi tra concetto di malattia o di comportamento appreso. Qualcuno la nomina codipendenza, qualcun altro dipendenza affettiva o dipendenza relazionale.
Una definizione riassuntiva sicuramente insoddisfacente, ma si spera comprensibile potrebbe essere “un insieme di comportamenti tipici, caratteristici di partner/familiari di soggetti affetti da dipendenze, da altri disturbi psichiatrici, disturbi compulsivi o di personalità” che si estrinsecano attraverso tematiche prevalenti centrate sul controllo del familiare o in termini più ampi, indipendenti dalla presenza o meno di un partner/familiare malato, come "un modello di dolorosa dipendenza da comportamenti compulsivi e dall'approvazione altrui allo scopo di trovare sicurezza, autostima ed identità” (1989 - U.S.A. prima Conferenza Nazionale sulla Codipendenza).

Quando un professionista riconosce la “codipendenza”
Il professionista si trova davanti alla codipendenza quando si presenta come causa di sofferenza. Difficilmente riconosciuta in quanto tale dalla persona che ne soffre, la codipendenza viene portata in veste di sintomo o come grande disagio psicologico.
Il pattern codipendente inteso come pattern comportamentale è caratterizzato da centratura sul coniuge/partner, sul familiare malato e sulla relazione in modo ossessivo e destruente per la persona che ne soffre. La polarizzazione del pensiero sulla relazione si manifesta sino allo sviluppo di vero e proprio disagio psichico più o meno sintomatico causato dalla totale messa da parte di sé. Viene reso attraverso modalità di relazione che ha agli estremi l’esercizio del controllo, l’iper-protezione e l’iper-coinvolgimento e dall’altra aspetti di negazione e rifiuto.
La sintomaticità si esprime generalmente in termini di ansia, depressione, somatizzazione, ma anche di ideazione paranoide o di alterazione delle abitudini alimentari. La gravità può andare dalla semplice percezione di un grave disagio relazionale, allo sviluppo di vere e proprie patologie psichiche degne di trattamento specifico.
Spesso tali manifestazioni sono espressioni di “stress relazionale cronico”, effetto parafisiologico dovuto al persistere in una relazione di una condizione di “incapacità” di uno degli elementi (ad es. nell’insorgere e persistere di uno stato di malattia cronica) che costringe il soggetto considerato “sano” ad un riadattamento in termini di tempo, di spesa economica, di restringimento dell’investimento socio-relazionale, e soprattutto di investimento di energia mentale con una generale maggior presa di responsabilità da parte di questo, sino a dimenticarsi di sé.
Altre volte tale tendenza sembra essere una franca disposizione personale, con una particolare tensione a ripercorrere relazioni caratterizzate da incapacità o prevaricazione emotiva dell’altro e sull’altro. Comune ad entrambe nell’annullamento di sé è il senso di colpa percepito, di frustrazione e di perdita, connesso ad una continua ricerca di auto-conferma attraverso gli esiti delle proprie azioni e comportamenti sulle azioni e comportamenti altrui.
La relazione risulta sbilanciata sino ad impedire al codipendente di percepire i propri sentimenti ed i propri desideri e l’unico desiderio sembra essere di continuare ad evitare il dolore causato dal ritornare ad avere un contatto con sé stessi o dalla percezione della incapacità di cambiare.

La cura della codipendenza per un professionista
E’ prima di tutto la cura dei sintomi. Una persona che esprime la propria sofferenza attraverso una malattia codificabile ha prima di tutto la necessità di esserne alleviata. Depressione, ansia, ideazione suicidaria, disturbi alimentari e quanto altro, anche quando siano espressioni di codipendenza, hanno prima di tutto la necessità di essere trattate di per sé.
Il passo successivo consiste nella ripresa lenta e faticosa del contatto con se stessi, e con il desiderio di cambiare. Il cambiamento può avvenire nel tempo, seppure di norma con ritorni periodici a comportamenti codipendenti, e con varie modalità.
Dalla frequenza dei gruppi Dodici Passi di Codipendenti Anonimi, alle terapie di gruppo, alla psicoterapia. Ogni codipendente ha una propria personale, variegata, multipla, strada per il recupero.
Lo scopo è riprendere contatto con sé stessi, la propria intimità, i propri desideri sani e costruttivi. Lo scopo è di avere una vita soddisfacente, che consideri il pensiero dell’altro come complementare e rispettoso senza esserne da questo travolto e “risucchiato”.
La cosa importante per un professionista è riconoscere la codipendenza per quello che è, al di là delle definizioni e delle scuole di pensiero, ed aiutare i codipendenti a trovare la strada per affrontare lo specifico problema, senza cadere nei tranelli tesi dalle multiple espressioni sintomatologiche e comportamentali con cui la codipendenza stessa si mostra.
Dottoressa Valeria Zavan
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Località : Puglia
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Professione: : Libera professione
Compleanno di recupero: : 01 Ottobre 2005
Data d'iscrizione : 22.08.08

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